Il sorriso dell’agnello – David Grossman

Il 2015 è stato per me l’anno degli scrittori europei nordici; il 2016 si sta invece definendo come l’anno degli scrittori israeliani: procedo per monomanie. In particolare, questa volta, sono tornata ad uno scrittore che raramente mi ha deluso e spesso mi ha emozionata e commossa: David Grossman (Gerusalemme, 1954). Ho scelto però il suo primo romanzo, che risale al 1983 ed è dunque di molto precedente a quelli che ho letto e recensito fino a questo momento: Il sorriso dell’agnello (חייוך היא-גהאדי).

Siamo nella Palestina martoriata dal conflitto tra Ebrei e Arabi degli anni Settanta. Uri è un giovane militare che sogna la convivenza pacifica tra i due popoli; Katzmann è il suo superiore, scampato alle persecuzioni naziste; Shosh è la moglie di Uri, una psicologa che sta sperimentando un nuovo metodo di recupero dei giovani disadattati; Khilmi è un vecchio arabo cantastorie che ha perso l’amato figlio Yazdi diventato terrorista. Le storie di questi quattro personaggi si intrecciano tra loro e, naturalmente, con la Grande Storia sullo sfondo.

Il romanzo viene presentato sin dal primo capitolo come un kan-ya-ma-kan, un “c’era e non c’era” (noi diremmo un “c’era una volta”), e infatti il libro è un intreccio di storie, da quelle dei quattro personaggi protagonisti alle altre che ciascuno di loro racconta, storie che fioriscono da storie. Il confine tra ciò che è realmente accaduto, le deformazioni della memoria e le invenzioni pure è labile e non viene sempre chiarito, ma il lettore viene davvero rapito, risucchiato, in questo turbine di racconti. D’altra parte i “fatti”, la “verità”, sono categorie piuttosto evanescenti: conta in effetti come l’uomo sente, interpreta, vive le esperienze.

E infatti non ci sono solo le storie. C’è anche una profonda, drammatica, impietosa introspezione psicologica: tre dei protagonisti, Uri, Shosh e Khilmi, parlano in prima persona, nei capitoli rispettivamente dedicati, e raccontano a se stessi, ai loro interlocutori, ad un nastro magnetico le proprie storie ma anche la propria interiorità dubbiosa, tormentata, sconvolta; i capitoli dedicati a Katzmann sono in terza persona (per ragioni che si comprendono alla fine del romanzo), ma pure si lascia largo spazio alla voce del personaggio attraverso il discorso diretto e perciò, seppure in modo diverso, impariamo a conoscere anche il suo animo tumultuoso.9788852016608-il-sorriso-dell-agnello

Le storie che racconta questo romanzo parlano di innocenza tradita, di passioni distruttive, di amore paterno, di conflitti generazionali, di cataclismi naturali e di orrori prodotti dall’uomo; ma tutte narrano anzitutto una difficile, a volte impossibile, ricerca di sé e del proprio posto nel mondo, in una terra dove questo è reso ancora più difficile dallo stato di guerra. E così le piccole storie dei protagonisti inetti a vivere, incapaci di fronte alle proprie stesse emozioni, si intersecano inevitabilmente con la Grande Storia e restano incomprensibili se separate da quello sfondo.

Grossman è uno scrittore acuto e sensibile e a volte lo scandaglio interiore nei suoi romanzi diventa addirittura esasperato: nel Sorriso dell’agnello restiamo sul discrimine sottile: non è un libro semplice, non è possibile leggerne molte pagine consecutivamente perché i grovigli interiori dei protagonisti sono espressi in una forma per lo più involuta (d’altra parte non poteva essere diversamente, giacché li ascoltiamo dalla loro stessa voce, non filtrata dal narratore) e a questo si aggiunge che esprimono drammi così giganteschi, che travalicano i limiti del singolo individuo, sicché necessitano di essere metabolizzati gradualmente. Inoltre gli eventi del presente della narrazione coprono un unico giorno, ma attraverso i racconti, le memorie e le confessioni dei protagonisti il tempo della storia si dilata di decenni e anche lo spazio si allarga, fino alla Polonia e all’Italia.

Dietro questa costruzione narrativa elaborata e complessa, c’è uno scrittore assai abile che non solo ci regala storie tristi ma belle, di uomini e donne, di luoghi e di tempi diversi, ma ci obbliga anche a riflettere una volta di più sul conflitto israelo-palestinese.

Caso ha voluto che mi capitassero tra le mani due romanzi scritti a trent’anni di distanza l’uno dall’altro: Il sorriso dell’agnello, appunto, e Giuda di Amos Oz. Nonostante la distanza temporale e le differenze di stile, si riscontrano delle analogie interessanti: temi come il conflitto tra padri e figli e la guerra di Palestina, ma soprattutto una sensibilità e una equanimità rispetto alle ragioni delle due nazioni in guerra che sono davvero apprezzabili. Entrambi gli autori sono impegnati per la pace in quella terra martoriata e da trent’anni e più cercano di sensibilizzare l’opinione pubblica oltre che con i loro interventi giornalistici anche attraverso i romanzi. Un impegno tanto più lodevole, considerando che questi scrittori vivono quotidianamente quel dramma ormai settantennale (Grossman ha anche perso un figlio in Libano nel 2006).

Non dobbiamo dimenticare che l’origine prima di tutto quel processo che giunge fino all’oggi e all’esplosione del fanatismo islamico, sta proprio nel conflitto di Palestina: perciò la lettura di questi romanzi è, oltre che appassionante, anche utile: per conoscere e per meditare.

 

Condividi
Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

Vedi tutte le recensioni
Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Recensione di D. S.