Il matematico indiano – d. leavitt

Che razza di posto! Sempre timoroso dei germi, Hardy pulisce il sedile prima di accomodarsi e tiene il bavero rialzato fino alla bocca. Si meraviglia dello strano corso che ha preso la sua vita negli ultimi anni: che una lettera che avrebbe potuto facilmente ignorare, come altri l’avevano ignorata, lo abbia strappato alla sicurezza dei suoi appartamenti al Trinity per portarlo in questo posto
 
Harold Hardy è un fellow del prestigioso Trinity College di Cambridge, abituato e quasi assuefatto alla sua vita scandita dai ritmi regolari della monotonia universitaria, delle sue manie irrinunciabili, della tranquilla routine alla quale vengono ridotte anche le debolezze, i sentimenti, le pulsioni, le paure, le intimità più segrete.
Una lettera arrivata a lui quasi per caso gli rende nota l’esistenza di un uomo che vive oscuramente in un luogo ignoto e quasi mitico, l’India, terra in cui la superiorità britannica di Hardy tende a confinare ogni superstizione o ogni credenza non puramente razionale. Quest’uomo è Ramanujan: ha una propensione lacerante e disperata per la matematica, e una geniale capacità di avvicinarsi alla soluzione di problemi fino ad allora irrisolti.
E così, per soddisfare la sua curiosità e la propria ambizione, Hardy riesce ad invitare Ramanujan, ‘il calcolatore indù’, in Inghilterra.
 
In un flusso continuo di eventi diversi e vicende che si succedono in modo casuale, senza salti e sorprese, Ramanujan e le miserie della prima Guerra Mondiale si infiltrano nella tranquilla vita di Hardy e dei personaggi che ruotano attorno a lui e al Trinity College, erodendone lentamente ed inesorabilmente le certezze fino a renderla irriconoscibile. È il modo in cui molto spesso i cambiamenti si insinuano nell’esistenza di ciascuno, in una fluida corrente di variazioni impercettibili, dalla quale si riemerge del tutto mutati.
Così, nel romanzo di Leavitt – un autore che prima non conoscevo – tutto è raccontato in una narrazione dalle tinte tenui. È uno spaccato di esistenze ordinarie che maturano attorno ad eventi straordinari. Alla fine, i protagonisti non possono che accorgersi di come ogni più piccolo e apparentemente insignificante evento li abbia trascinati in una situazione inaspettata.
 
Questa mancanza di salti, di tinte forti e di decisive rivoluzioni mi ha lasciata sulle prime fredda e insoddisfatta. Mi aspettavo qualcosa di diverso da un libro che avesse l’ambizione di raccontare la storia di uno dei più grandi matematici della storia, e di parlare dei segreti circoli omosessuali esistenti nell’ombra dell’austera Inghilterra vittoriana. È un mio difetto: dalla narrativa mi aspetto sempre grandi avventure, tragiche parabole, profondi insegnamenti.
Per gustare il romanzo di Leavitt, che narra di vicende veramente accadute (alla fine del libro si trova un nutrito elenco di fonti bibliografiche) mentre Ramanujan visse in Inghilterra, ci si deve invece sedere, e con pazienza esaminare il lento susseguirsi di eventi, relazioni, e ovviamente equazioni matematiche (fino a che sia possibile starci dietro: nel mio caso, molto poco): ogni più piccolo dettaglio si farà strada come una leggera crepa nell’esistenza dei protagonisti, lasciandovi una traccia indelebile.

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6 commenti
  • lo aggiungo anch'io alla mia lunga lista dei libri da comprare e da leggere,  quest'estate ho letto apologia di un matematico che consiglio a chi ha voglia di leggere questo. è un libriccino piccolissimo, senza formule, scritto proprio da quell' Hardy che invita Ramanujan aìi Inghilterra. e grazie per la recensione, Ipazia!

  • Questo è un bel libro, e lo dico anche se a me la prosa freddamente perfetta di Leavitt era risultata irritante, al primo approccio. Ma poi, man mano che si progredisce nella lettura, ci si rende conto che non si poteva usare altro linguaggio per far rivivere le passioni che animarono gli ambienti intellettuali dell'Europa di quegli anni. Perché di passione ce n'era a oceani, e di trasgressione probabilmente molta più allora che oggi; ma era nascosta, ribolliva sottotraccia, era roba che si rivelava in pubblico solo tra iniziati, nelle serate del Bloomsbury, dove anche la sessualità si liberava e i bisessuali e gli omosessuali come Keynes e lo stesso Hardy potevano mostrarsi per ciò che erano, tra pari, tra menti libere da ogni pregiudizio. La prosa di Leavitt è un perfetto specchio di questo ambiente: levigata, pulita, classicissima, ma al fondo tesa, a tratti nervosa ed estenuata, nella ricerca dell'equilibrio impossibile tra un mondo di pura forma e le passioni che da dentro sorgono a scardinarlo. E l'arrivo di Ramanujan, genio intuitivo ed involontariamente eretico che giunge da un mondo primitivo non a sovvertire, ma a sedurre  gli adepti della più formale delle discipline, a me sembra la perfetta metafora della duplice natura di quegli anni e dei loro protagonisti.

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