Piemonte, una valle ai confini con la Francia, una notte d’autunno. Cesare, detto “il francese” per il suo passato equivoco a Marsiglia, ritrova fra le acque di un torrente il corpo del giovane Fausto. Cesare, che ha scelto di vivere in una baita da solo con una lupa, è costretto ad uscire dall’isolamento e dal silenzio, perché Fausto era l’ultimo cui aveva trasmesso il suo mestiere di passeur.
Il paese si chiude nell’omertà assoluta, ma c’è un commissario venuto da fuori deciso a scoprire la verità.
Alla storia di Cesare si affianca quella di Sergio, ragazzo che vive da solo con il padre.
Il mangiatore di pietre è un noir ovattato come l’atmosfera rarefatta delle montagne in cui si svolge, ma allo stesso tempo è incalzante per la tensione narrativa che lo caratterizza.
Le vicende di Cesare e di Sergio sembrano distanti e sono narrate alternativamente, ma nell’incalzare della storia si ricongiungono e tutto si incastra come in un puzzle. Fino a che i nodi non si sciolgono si è immersi in un’atmosfera di attesa che si va a mescolare con quella di lentezza e pacatezza. Infatti è un libro particolare, perché c’è un ritmo lento e serrato allo stesso tempo. Sembra un ossimoro, ma non è così, è semplicemente la sensazione che prova il lettore. Ciò accade in quanto, almeno per come l’ho percepito io, il vero personaggio principale è un altro. Meglio, sono protagonisti Cesare, Sergio, il commissario, le persone coinvolte nel giallo da risolvere e gli abitanti del paese. Ma non solo, il vero protagonista è la montagna, l’ambiente in cui Cesare e Sergio si muovono e che li permea come fossero un tutt’uno: la montagna con i suoi ritmi, le sue abitudini, le sue temperature, che l’autore ci fa sentire come se fossimo presenti, i suoi antri nascosti, come gli angoli nascosti dell’animo umano.
Da questo libro è stato tratto il film con Luigi Lo Cascio nei panni di Cesare, per la regia di Nicola Bellucci, presentato al Torino Film Festival 2018.