Il Grande Gatsby – Francis Scott Fitzgerald

Recensire i grandi classici della letteratura universale è sempre rischioso e difficile. Ci sono autori che sembrano restare immortali nel tempo, trascinando con le loro parole i lettori di qualunque epoca. Ma ci sono anche coloro che non riescono in tale impresa, rimanendo comunque impressi nella mente comune.

Fitzgerald è sicuramente un personaggio vivido nell’immaginario collettivo, tanto vivido quanta la foschia intorno alla sua vita e a quella della sua Zelda: americani che hanno vissuto i grandi anni Venti, con tutto ciò che quest’epoca ha portato con sé, e che lo scrittore ha incluso nel suo romanzo.

Nick Carraway, quasi trentenne, si trova a vivere nel West Egg, vicino di casa di un misterioso personaggio, tale Gatsby. Dall’altra parte dell’uovo, vive sua cugina Daisy, con suo marito, Tom, e la loro bimba. Questi trascorrono l’estate nei tipici intrattenimenti di quegli anni, fatti di feste, gite, sigarette e whisky, finché, per delle curiose coincidenze, Nick scopre che il suo nebuloso vicino, sul quale circolano storie improbabili e leggendarie, è una conoscenza comune a tutti. Finalmente lo incontra a uno dei suoi famosi party, nella grande villa in cui si possono trovare ogni genere di invitati: dagli imbucati agli amici di Gatsby. I due uomini approfondiscono l’amicizia, e condividono racconti sul loro passato, finché Nick scoprirà che la loro più importante conoscenza in comune sarà Daisy.

La storia d’amore è piuttosto nota, ma questo non le impedisce di avere attorno a sé un alone di tragica foschia che viene rischiarata solo nel finale. Quasi tutti a scuola abbiamo studicchiato il Grande Gatsby, e tutti sappiamo che c’è un arcano affair, ma pochi ricordano precisamente come va a finire. O, nel mio caso, se anche lo ricordavo, leggerlo dal vero, fa tutto un altro effetto.

Devo dire che ho passato fasi altalenanti da psicolabile, per quanto riguarda la scrittura dell’autore, tra momenti di grande entusiasmo di fronte alle descrizioni dei panorami, degli ambienti, delle serate americane, e momenti di autentica noia, in pezzi del romanzo in cui non si va da nessuna parte, ma ci si gingilla senza alcuno scopo, come se il libro fosse in linea con il grande passatempo degli anni Venti.

Se invece parliamo della storia, beh, che dire? Ci sarà un motivo per cui Fitzgerald è considerato uno dei grandi romanzieri americani. Devo essere sincera: verso i tre quarti del libro ho pensato di mollarlo e arrendermi all’evidenza: mi aveva deluso. Poi, non so da dove, ho preso la decisione di arrivare in fondo a quel paio di capitoli che mi mancavano, e meno male. La noia delle pagine precedenti si è quasi del tutto dissolta, in un vortice di avvenimenti magistralmente narrati. Come ho già detto, non importa se si conosce il finale di questa storia, perché trova il modo di sorprenderti lo stesso. Sarà grazie alla scrittura poetica di Fitzgerald, sarà per le azioni travolgenti alle quali il lettore si trova inesorabilmente ad assistere, ma il finale è perfettamente –e tristemente- decisivo; appare assurdamente giusto e inevitabile, concludere una storia in questo modo, e tale conclusione, è definitiva: non è uno di quei libri che lasciano che la storia scorra nelle vene del lettore, ma è un romanzo che fa riflettere sull’ineluttabile vulnerabilità dei nostri sogni.

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Trix
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