La Sicilia – come qualsiasi terra, naturalmente – può essere raccontata da diversi punti di vista, tra i quali: lingua, folklore, tradizioni culinarie… Giuseppina Torregrossa usa gli elementi suddetti come contorno, concentrandosi sulla figura femminile all’interno della famiglia: i ruoli imposti dalle convenzioni, lo sbilanciamento tra diritti dell’uomo e doveri della donna, l’adulterio, la devozione che si confonde con la superstizione… Per proporre diverse varianti di famiglie, l’autrice rappresenta un quadretto con al centro – di volta in volta – le varie donne nell’albero genealogico della voce narrante; è così possibile dividere il libro in due parti: passato e presente.
Il motivo comune tra le varie storie familiari sono le “minne di Sant’Agata”, dolci serviti in coppia a guisa dell’attributo femminile – rico
rrente tra le protagoniste – e a ricordare il martirio della santa, metafora della condizione femminile nella cultura siciliana che la Torregrossa decide qui di ritrarre, dove la donna non trova posto al di fuori delle pareti domestiche e resta soggiogata all’uomo, più o meno volontariamente.
Il linguaggio è scorrevole ma capace di trasportare il lettore nell’isola. La narrazione non si sofferma troppo sull’introspezione. Assenti o superficiali i riferimenti a storia e cronaca, come se i personaggi e le loro vicende fossero isolati e sospesi nel tempo. Una lettura leggera, un po’ melodrammatica e con pepe quanto basta.