Il baule dei ricordi di carta #17 – Quando Hitler rubò il coniglio rosa, Judith Kerr

Dopo una piccola pausa, torna il Baule contrassegnato da un numero che in metà del mondo porta sfortuna e nell’altra metà no, per parlare di un libro che mi è molto caro. Avrei voluto pubblicare questa recensione nel Giorno della Memoria, lo scorso 27 Gennaio, ma dopotutto forse è meglio così: ogni giorno è buono per ricordare.

Questo è uno dei libri che ho letteralmente consumato, a furia di portarlo con me ovunque. Mi prendo delle cotte incredibili per i libri così come accade per le persone, quando succede non riesco a staccarmene neanche per un minuto, li voglio con me sempre. Possedevo proprio la prima edizione BUR, ereditata da mia mamma, quella con la copertina gialla e il disegno di una cassa piena di giocattoli dimenticati e grigi: solo il rosa acceso di un coniglio di pezza spicca come un segnale di pericolo.

Ricordo che, la prima volta in cui l’ho letto – complice l’età – non avevo mica capito che fosse un libro “triste”. Uno dei pregi di questo romanzo è l’assoluta e delicatissima lievità con cui viene trattato l’argomento dell’antisemitismo, un po’ perchè fortunatamente all’autrice e alla sua famiglia – il libro è autobiografico – sono stati risparmiati gli orrori peggiori, come deportazioni e campi di concentramento; un po’ perchè la loro storia viene narrata quasi fosse una fiaba, dove gli ingredienti magici non sono pozioni, bacchette e castelli ma la tenacia, la resistenza, la forza che deriva dallo stare uniti, dal non abbassare la testa e la voce, dal credere sempre e fermamente che un mondo migliore può essere possibile – anche nel mezzo dell’inferno.

Anna, bambina tranquilla  e silenziosa, sradicata da tutto ciò che le apparteneva fino a quel momento, prova nostalgia soprattutto per il suo coniglio rosa di peluche, uno dei suoi giocattoli preferiti. Quando la sua famiglia è costretta a lasciare la grande casa in cui hanno sempre vissuto per sfuggire alle persecuzioni, si immagina il coniglio – con i suoi occhi di bottoni neri – immobile e solo nel mezzo della stanza dei giochi, perduto in un luogo senza più colore, voci, vita. Durante tutto il suo peregrinare – prima in Svizzera, poi in Francia per finire finalmente in Inghilterra – Anna ricorrerà al pensiero del coniglio, tenero e crudele allo stesso tempo, quando la vita reale diventerà troppo pesante da affrontare.

Ci sono cose che sono molto difficili da capire. Per esempio quando i bambini in cortile non possono giocare con te perchè la loro mamma glielo ha proibito, perchè tu “sei diversa”. Oppure quando un facchino ti indica il treno sbagliato da prendere, quello che ti riporterebbe in Germania verso la prigionia invece che in Francia, perchè sulla testa di tuo papà pende una taglia di 1000 franchi e lui vuole guadagnarsela. O, ancora, quando vieni a sapere che il tuo adorato zio Julius si è ucciso perchè i nazisti gli avevano tolto tutto, lavoro, dignità, speranza. Tutto questo è molto strano e incomprensibile, ti blocca un gomitolo di dolore nero e pesante in mezzo al petto, che non se ne va via più. Allora cresci in fretta, senza una patria, con le radici sradicate a forza dalla terra, senza più un’identità, un senso di appartenenza a qualcosa. L’epoca odierna dell’essere cittadini del mondo è ancora lontana, questo è un esilio fatto di soprusi e di rabbia, subìto e non scelto.

Quando Anna sente i genitori discutere riguardo ai nazisti che hanno confiscato tutti i loro beni in Germania, capisce che si sono presi anche il coniglio rosa e l’infanzia si frantuma ai suoi piedi come un vaso di cristallo. Si immagina il coniglio inerme gettato in mezzo agli stracci, sventrato, abusato, distrutto. Questa immagine esprime alla perfezione tutto l’orrore che è stato, rivolto contro chi non poteva difendersi, senza più voce nè diritti. L’orrore a cui apriamo la porta della stanza dei giochi e permettiamo di entrare, nel momento in cui ci affidiamo a una follia collettiva come alla salvezza che aspettavamo da tempo e siamo accecati dall’odio, come se avessimo anche noi dei bottoni neri al posto degli occhi.

Condividi
Recensione di
MaddalenaErre
Vedi tutte le recensioni
5 commenti
  • Grazie mille : ) va da sè che è consigliatissimo, io lo reputo una piccola pietra miiare della letteratura sull’argomento

  • Non conoscevo questo libro, nonostante io sia molto attenta alla letteratura sull’argomento. Grazie alla tua splendida recensione ho fatto davvero una bella scoperta: sarà il primo libro che farò leggere a mio figlio su questo tema. :)

    • grazie mille : ) non so quanti anni abbia il tuo bimbo, ma è un libro che, per la delicatezza usata nel trattare l’argomento, a mio avviso può essere consigliato già dai 9/10 anni…

Recensione di MaddalenaErre