I cani e i lupi – Irène Némirovsky

Irène Némirovsky (Kiev, 1903 – Auschwitz, 1942) è un’autrice che ho scoperto di recente e della quale mi ha colpita anzitutto il conflitto irrisolto con le proprie origini ebraiche. Intelligente, sensibile, inquieta, alla ricerca di una conciliazione mai trovata con se stessa e con il mondo circostante, la Némirovsky ha lasciato un patrimonio di opere che meritano di essere lette e meditate, seppure non sempre ugualmente felici. I cani e i lupi (Les chiens e les loups) è il suo ultimo romanzo pubblicato in vita e porta la data del 1940.

La piccola ebrea Ada Sinner nasce nella città bassa di Kiev, il sobborgo povero. Rimasta senza madre, cresce con il padre e il nonno materno, finché non vengono raggiunti dalla zia Raisa, rimasta vedova, con i due figli Lilla e Ben. La vita non è facile nella città bassa, dove povertà e degrado tormentano la popolazione e ognuno deve affinare al meglio la propria arte della sopravvivenza. Altri Sinner, lontani parenti, vivono invece nella città alta, in ville lussuose circondate da giardini rigogliosi e profumati: tra loro il giovane Harry, di poco più grande di Ada, di cui la bambina si innamora perdutamente. Questo amore assoluto e inconfessabile Ada lo porta con sé fino in Francia, dove si trasferisce qualche anno dopo con la zia e i cugini in cerca di fortuna. Anche Harry è a Parigi e i due, ormai giovani adulti, avranno modo di rivedersi e di amarsi appassionatamente. Ma un nuovo esilio attende Ada.i-cani-e-i-lupi-nemirovsky

La narrazione scorre lineare, alternando al punto di vista del narratore esterno onnisciente quello della protagonista Ada. Vediamo così delinearsi efficacemente il ghetto in cui Ada è nata e cresciuta, povero, sporco, tetro e diroccato e di contro la città alta con le sue case sontuose, luminose, dai ricchi arredamenti e dalla preziosa suppellettile: tutto descritto con una precisione nel dettaglio che dipinge i luoghi davanti ai nostri occhi. E poi ci sono gli ebrei, ricchi e poveri, ma rappresentati sempre in maniera impietosa, talvolta perfino caricaturale (gli zii di Harry) dalla scrittrice ebrea che non amava gli ebrei: qui, rispetto ai racconti, la misura lunga della narrazione permette di cogliere al meglio il sentimento in realtà ambivalente della Némirovsky che nel tratteggiare ebrei dalle fattezze fisiche sempre poco gradevoli, intrallazzatori, speculatori, avidi, inquieti rivela sicuramente il suo disprezzo ma anche il dolore, innanzitutto suo proprio, di una condizione senza pace, perennemente in esilio dal mondo e da sé.

I personaggi più riusciti, e affascinanti, sono certamente quello di Ada, sensibile, timida, orgogliosa, irrequieta, appassionata e quello del cugino Ben, non meno appassionato, arrivista, maestro di ogni arte della sopravvivenza; ma anche tra i personaggi secondari o di contorno alcune figure risultano particolarmente felici, anche se non certamente simpatiche, come quello della zia Raisa, arcigna, ambiziosa, intraprendente.

Attraverso la narrazione e i dialoghi la storia si dipana per circa vent’anni: il filo rosso è quello della passione smisurata di Ada per Harry, ma a questo filone narrativo se ne intrecciano altri: i fantasiosi giochi infantili di Ada e Ben, i pogrom, gli intrallazzi amorosi di Lilla, il matrimonio di Harry e Laurence… fino ad una conclusione che di certo intenerisce, ma che almeno in parte delude: appare infatti più adatta ad un feuilleton che ad un romanzo che per duecento pagine è capace di emozionare e appassionare il lettore con un racconto di livello notevole.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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