Fuori tema # 21 – Dietro gli occhiali di Holly Golightly

Avendo letto ultimamente “Breakfast at Tiffany’s”, mi sono venute in mente alcune considerazioni che condivido qui con voi, per il puro piacere di scrivere.

Comprendere Holiday Golightly equivale a capire le sue grandi lenti scure, che non danno agli interlocutori la possibilità di guardarla negli occhi; dopo un po’ di tempo Buster scopre che in realtà quelle lenti sono graduate – Holly non vuole che il suo fascino venga deturpato da una banale montatura da vista.

Le lenti sono per Holly una metafora della sua natura: preferisce passare per una vanitosa glamour girl – per una che se la tira insomma – piuttosto che ammettere di avere un difetto visivo. Dietro quelle lenti scure ci sono occhi grandi, innocenti come quelli di una bambina, di tanti colori, come le sfaccettature della sua personalità: blu e verdi, colori preziosi e appariscenti, ma “dotted with bits of brown“, un colore più comune – come l’origine di Holly? Il testo prosegue: “Vari-coloured, like her…” e la frase potrebbe finire qui, invece Capote aggiunge “hair“. La nostra eroina assomiglia a uno di quei brillanti che ammirava lei stessa dalle vetrine di Tiffany, che rappresentano la vita sognata, ma non avendo la possibilità di comprarne si accontenta dei biglietti da visita con l’effige del prestigioso negozio: l’immagine in mancanza della sostanza.

La storia della ragazza affamata di vita è disseminata di piccoli indizi. I begli occhi miopi, che non vedono lontano, come lei non guarda al di là dell’immediato, non vuole pensare a cosa farà “da grande”, non pondera le conseguenze della frequentazione di un detenuto. C’è un’altra Holly dietro, come c’è dietro il fatto che non ha dato un nome al gatto, lei che per prima usa uno pseudonimo. Alla fine Buster si augura che il micio abbandonato abbia ricevuto un appellativo dai suoi nuovi padroni, così come si augura che lei abbia fatto pace con il suo nome, ovvero con sé stessa e abbia trovato il suo posto nel mondo.

 

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Recensione di
Antonio Soncina

Odio i best seller, soprattutto se di sfumature rosa, gialle o grigie. Ai classici preferisco storie contemporanee. Posso sopravvivere senza il rinomato "odore della carta" ma non con il Kindle scarico.

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3 commenti
  • è una storia complicata, quella di Breakfast at Tiffany’s. Quella del libro intendo, non quella del film – per quanto Audrey Hepburn, mia attrice preferita, interpreti benissimo la nostra Holly …ma la sceneggiatura del film, purtroppo, non fa altrettanto.

  • Io ho visto solo il film, che mi ha lasciata piuttosto indifferente, a tratti anche infastidita. Dopo questo post, però, voglio assolutamente provare a leggere il romanzo!

Recensione di Antonio Soncina