Elogio del ripetente – Eraldo Affinati

Premessa doverosa. Spero di essere perdonata se questa recensione, pur essendo certamente tale, diventa anche uno sfogo personale. Ma è un periodo un po’… così.

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Da tempo non leggevo un libro dedicato ai temi e ai problemi della scuola. In passato ho divorato Diario di scuola di Daniel Pennac o i libri di Paola Mastrocola e di altri, alla ricerca di spunti di riflessione e di un, seppur indiretto, scambio di esperienze e di impressioni. Negli ultimi tempi, però, la passione che ha animato i miei primi 15 anni di insegnamento si va affievolendo: incertezze, dubbi, delusioni, sfiducia mi tormentano quotidianamente e quindi sono restia a scegliere libri sul tema scuola; piuttosto vado alla ricerca di libri diversi, che mi permettano di staccare completamente la spina. Per una serie di circostanze, però, mi è capitato tra le mani il recente saggio (2013) di Eraldo Affinati (Roma, 1956), Elogio del ripetente, e dopo averlo lasciato impolverare sul comodino per un paio di settimane mi sono decisa a leggerlo.

Eraldo Affinati è scrittore e docente di Italiano, particolarmente impegnato nell’insegnamento in contesti difficili; insieme alla moglie ha anche fondato una scuola chiamata Penny Wirton, nella quale si insegna gratuitamente l’Italiano agli stranieri. Nel saggio Affinati si concentra in particolare sui tanti ripetenti, spesso pluribocciati, incontrati nel corso della sua carriera: romani e stranieri, intelligenti e ritardati… tutti con una storia personale assolutamente unica e mai facile, in cui affonda le radici l’insuccesso scolastico. E l’autore invita tutti a riflettere proprio sulle potenzialità, intellettive ma più in generale umane, sul patrimonio prezioso che questi ragazzi potrebbero costituire se solo venisse loro offerta una opportunità concreta. Cosa che l’autore ha sempre cercato di realizzare, affinando con il tempo e l’esperienza il suo approccio.

L’Elogio del ripetente ricorda, sotto alcuni punti di vista, Diario di scuola di Pennac: in entrambi i casi l’autore dedica la propria attenzione specificamente a quegli studenti comunemente considerati e definiti “somari”, ciascuno dei quali però ha una storia, una identità e delle attitudini alle quali troppo spesso una scuola distratta non presta attenzione. E ho ritrovato di Pennac anche proprio la passione viscerale per un mestiere tanto difficile quanto amato.

In passato mi sentivo di aderire con piena convinzione al romanticismo di Pennac, persuasa com’ero che proprio quell’entusiasmo un po’ incosciente potesse essere, anche per me, l’atteggiamento giusto con cui affrontare, anno dopo anno, le generazioni di giovani a me affidate e costruire insieme a loro un futuro diverso e migliore. Per lo stesso motivo non condividevo certi giudizi severi di Paola Mastrocola o le descrizioni grottesche e disfattiste di Starnone o di Bégaudeau.elogio-del-ripetente-eraldo-affinati-mondadori-2

Oggi resto invece perplessa e il mio tormento cresce. Negli ultimi anni delusioni si sono sommate a delusioni, proprio da parte di quei ragazzi che ho sempre amato moltissimo e ai quali, senza falsa modestia, ho dedicato tempo ed energie come pochi fanno. Sempre più spesso questi giovani si rivelano del tutto disinteressati a qualunque tipo di dialogo col docente, sempre più superficiali, sempre più cinici. So benissimo che le responsabilità appartengono soprattutto ad una società degenerata, che non tutela i più deboli, che non garantisce un futuro, che bombarda tutti noi con modelli omologanti fondati esclusivamente sull’esteriorità e sull’effimero. Capisco perfettamente che è quasi impossibile per questa generazione concepire sogni e progetti e credere nelle istituzioni (a cominciare dalla scuola) che invece appaiono loro come le rotelle di un meccanismo perverso. È per questo che si rinchiudono nel loro piccolo orticello, coltivando in maniera quasi ossessiva esclusivamente l’hic et nunc. Ma questo mi rende difficilissimo insegnare.

Nonostante tutto io credo nel progresso, credo disperatamente che un avvenire diverso sia possibile, ma credo anche che questo potrà essere realizzato solo con un impegno collettivo, costruttivo, che parta dal basso. E quindi innanzitutto dall’educazione, dalla famiglia e dalla scuola. Quando però mi trovo davanti 20 o 30 giovani che non si interessano a nulla, che non si smuovono neppure quando si parla loro di attualità (la nostra povera Terra dei Fuochi!!!), che hanno perso ogni fiducia e ogni speranza, che ridacchiano o scuotono la testa quando li invito all’impegno civile e all’azione… io provo un senso di impotenza e di fallimento dolorosissimi.

Insegno in un liceo, la scuola che dovrebbe formare i professionisti e gli intellettuali di domani; e che invece ormai sforna diplomati sempre meno preparati e soprattutto privi di qualunque spinta progressiva. Affinati, portando le sue esperienze raccolte in particolare negli istituti professionali, dà voce a grandi speranze: pur registrando anche lui un peggioramento della situazione sotto il profilo sia didattico che disciplinare, proprio dai ripetenti (i peggiori dei peggiori, come si suole ripetere, che spesso affluiscono nei professionali dopo aver perso l’anno in un liceo o in un istituto tecnico) riprende un discorso educativo che non molla.

Leggendo alcuni dei passaggi più belli, anche commoventi, del saggio mi è sembrato di sentire rinascere anche in me l’entusiasmo degli inizi. Ma già ora, mentre scrivo sull’onda dell’emozione dopo aver appena voltato l’ultima pagina del libro, sento che quella energia mi sta abbandonando. Forse in realtà ho perso anche io la speranza, come la gran parte dei miei studenti, e non ho il coraggio di ammetterlo, anzitutto di fronte a me stessa.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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3 commenti
  • Forse saro un po ot (scusate la mancanza di accenti ed apostrofi ma scrivo da una vecchia tastiera inglese) ma penso che sia anche bello parlare di cose che ci riguardano personalmente prendendo spunto da un libro.
    Ho svolto un tirocinio come insegnante di lingua e letteratura spagnola, per nove mesi, in un liceo linguistico, e solo quei nove mesi mi hanno mostrato la verita di tutto quello che lamenti nella scuola. I ragazzi sono disinteressati, ma non dico che sia importante che a 17 o 18 anni siano superimpegnati dal punto di vista civile o politico, non pretenderei che leggano i giornali (avranno tanti anni a venire per farlo, lasciamogli vivere la loro adolescenza senza caricarli di tutti questi problemi), ma almeno che lavorino su se stessi, sulla loro crescita umana e culturale, perche la cultura, specialmente storica e letteraria, ma anche scientifica ovviamente, e una grande fonte di crescita e maturazione. Anche se riconosco che la societa ha le sue colpe, le colpe maggiori di questa vita cinica dei ragazzi ce l’ha la famiglia, i loro genitori, il clima familiare privo di dialogo, la mancanza di amore tra i genitori, tra i parenti, l’assenza di affetto vero e appoggio, la presenza di persone che siano loro un punto di riferimento, da cui si sentono accolti, amati e accompagnati. Questi genitori assenti, che lavorano ossessivamente, che tradiscono la fiducia dei figli, che non danno alcun buon esempio, perche a loro volta hanno vissuto male nelle loro famiglie e non sono maturati umanamente, questi genitori generano figli che a loro volta saranno pessimi genitori e persone infelici e superficiali. Ecco perche penso che ciascuno di noi debba lavorare su se stesso, e perche ritengo che i prof e gli insegnanti, mai come prima d’ora, abbiano un’occasione fantastica per riaccendere la speranza in loro, senza fare nulla di straordinario, senza dover per forza fare prediche o sermoni in classe, ma solo con il puro insegnamento, la passione per il proprio lavoro, far loro vedere la bellezza della poesia, della letteratura, della buona letteratura, della meraviglia della natura e delle scoperte scientifiche. A me piacerebbe insegnare, ma sono rimasta spaventata dalla violenza dei ragazzi in classe, in confronto alla mia timidezza, e purtroppo anche se volessi la stagnazione nelle assunzioni non me lo permetterebbe.

    • Grazie per il tuo lungo commento: mi fa sempre piacere un confronto con chi vive esperienze in qualche modo simili alle mie. Personalmente credo che la cultura non debba (e in realtà non possa) essere disgiunta dall’interesse per l’attualità: altrimenti si rischia di restare pericolosamente avulsi dal contesto. Peraltro i miei studenti di quarto e quinto anno sono per lo più maggiorenni, quindi detentori, tra l’altro, del diritto/dovere di voto che troppo spesso rischia di essere esercitato senza consapevolezza. Perciò sempre più negli anni sono andata impostando il mio insegnamento ricercando un confronto con il nostro tempo, magari scegliendo gli autori (italiani ma perfino latini) che siano stati in qualche modo la coscienza critica del loro tempo, in modo che il loro approccio sia d’insegnamento per i giovani. Ma effettivamente la gran parte di questi ragazzi non è interessata né al passato né al presente né a null’altro che non sia il piacere momentaneo ed effimero. E con gli anni peggiorano: nelle prime classi, a 14 anni, hanno molte più domande e curiosità, ancora s’indignano e sperano e credono; a 18 sono per lo più amorfi. La responsabilità è della società che li circonda (e naturalmente nel termine “società” io inglobo anche la famiglia, istituzione sempre più assente e irresponsabile) che tende a risucchiarli e a spegnere entusiasmi, passioni e coscienza. Per 15 anni ho combattuto contro tutto questo, con grande entusiasmo e passione io per prima. Oggi la realtà delle cose mi rende sconfortata.

Recensione di D. S.