Dalla libreria al cinema # 29 – Treno di notte per Lisbona

L’anno scorso, proprio nei giorni di Natale, leggevo un romanzo introspettivo di notevole valore: si trattava di Partitura d’addio, del filosofo svizzero Peter Bieri (Berna, 1944) noto, come romanziere, con lo pseudonimo di Pascal Mercier. Sperando di rivivere le stesse emozioni, in questa settimana ho letto Treno di notte per Lisbona (Nachtzug nach Lissabon, 2004), opera precedente molto più celebre e apprezzata di Mercier. Purtroppo la lettura si è rivelata piuttosto deludente.

In una piovosa mattina di febbraio un professore di liceo bernese, Raimund Gregorius, si imbatte in una giovane donna che sembra volersi gettare dal ponte di Kirchenfeld. D’istinto Gregorius grida per fermarla, lasciando andare l’ombrello e la borsa dalla quale cadono, sparpagliandosi, i compiti dei suoi allievi. Raccolti alla meglio i fogli, il professore si rimette sulla strada della scuola, seguito dalla donna che gli ha chiesto di poterlo accompagnare. Così Gregorius, conosciuto da sempre come un erudito preciso e pedante, completamente assorbito dai suoi studi di greco, latino ed ebraico, fa il suo ingresso in aula in ritardo, bagnato e in compagnia di una sconosciuta, destando non poco stupore. Lo stesso Gregorius si meraviglia di sé, ma da quella mattina la sua vita non sarà più la stessa: il suono dolce della lingua portoghese parlata dalla donna e il libro di un affascinante scrittore portoghese chiamato Amadeu Inácio de Almeida Prado, spingono Gregorius a rimettere in discussione la propria intera esistenza. Partito per il Portogallo senza dir nulla a nessuno, il professore va alla ricerca di uomini e donne che hanno conosciuto Prado e a poco a poco ricompone il puzzle della vita di un uomo tormentato e straordinario sullo sfondo della dittatura di Salazar. Il viaggio a Lisbona, però, si rivela per Gregorius un’occasione anche per ripensare se stesso, scoprendo insospettate analogie con il ribelle Amadeu.copj170.asp

Lo spunto iniziale del romanzo è buono, per quanto non originalissimo: una donna misteriosa sotto la pioggia, il tentato suicidio (o forse Gregorius ha equivocato?), il tarlo che si insinua attraverso la voce armoniosa che pronuncia la parola “português”… fino alla fuga del professore dall’aula e dalla Svizzera, abbandonando perfino gli amatissimi libri.
Tuttavia nel prosieguo il romanzo non mantiene le sue promesse. Alla narrazione delle vicende di Gregorius che ricerca, quasi ossessivamente, notizie su Prado si alterna la voce di Amadeu, ormai morto, che rivive attraverso il suo libro e le lettere e gli appunti ritrovati per caso dalla sorella Adriana o affidati da lui stesso alle mani dell’amica Maria João, dell’amico João Eça e di altri. I pensieri di Prado rivelano una sensibilità spiccata e dolente, in conflitto insanabile con la figura paterna ma ancor più con quella materna; un carattere severo e intransigente con se stesso prima che con gli altri; una disperata fame di vita: insomma, un eroe bello e maledetto, già noto da tanta altra letteratura di vario valore. Amadeu, però, non sfugge al rischio del kitsch, come dimostrano i suoi scritti densi di elucubrazioni sofferte, ma capziose e ridondanti. Tra le annotazioni di Prado e le riflessioni di Gregorius c’è qualcosa di buono, che certamente può spingere noi tutti a meditare sul senso della vita, soprattutto nel momento in cui gli anni passano e giunge il tempo dei bilanci (Gregorius ha già cinquantasette anni, ma la gran parte delle persone che hanno conosciuto Amadeu ne ha più di ottanta). Tuttavia nel complesso il romanzo è nulla più che l’abile costruzione di un discreto artigiano della penna, peraltro piuttosto compiaciuto di sé, che non di rado ricorda il più giovane ma più affermato Zafón (e come in Zafón non mancano anche tratti decisamente inverosimili: Gregorius non conosce il portoghese eppure con poche lezioni diventa capace di leggere le difficilissime, arzigogolate pagine di Prado); inoltre quella lentezza che in Partitura d’addio era bilanciata dall’intensità della storia, qui risulta semplicemente pesante (sebbene, va detto, anche lo stile della narrazione abbia ricevuto il plauso di tanti lettori).

49748Era inevitabile che da questo romanzo venisse tratto un film (Night train to Lisbon, 2013): la trama romanzesca (nell’accezione negativa del termine) e le frasi ad effetto di Prado si prestano alla perfezione.

La pellicola ha dovuto necessariamente tagliare numerosi personaggi ed episodi, il che, in teoria, sarebbe potuto essere anche un merito: la storia, fin troppo ricca di persone e di eventi, poteva essere sfrondata senza danno. Tuttavia il film riesce peggio del romanzo. L’incipit, in particolare, non delinea opportunamente la figura di Gregorius, pertanto il viaggio in Portogallo e il profondo cambiamento interiore che ne deriva risultano da un lato non ben motivati e dall’altro banalizzati. In realtà il film semplifica e banalizza tutto l’insieme, anche i tormenti di Prado (che poi sono speculari rispetto a quelli di Gregorius), insistendo piuttosto sulle vicende sentimentali (una delle quali in realtà assente nel romanzo, o appena velatamente accennata) le quali naturalmente attirano l’interesse del largo pubblico. Non basta un seducente Jeremy Irons a risollevare le sorti del film, anche perché chi ha letto il romanzo sa che questo attore è troppo affascinante e raffinato per impersonare Gregorius.

Oltre a qualche riflessione, come si è già detto, l’unico vero merito del romanzo e del film è di aver descritto le violenze del governo di Salazar e la coraggiosa resistenza contro il regime, che non bisogna assolutamente dimenticare: tanto più che risalgono ad un tempo in cui la gran parte del mondo occidentale aveva recuperato la libertà e restaurato la democrazia; mentre – erano i primi anni ’70 del Novecento – il Portogallo (e non dimentichiamo la Spagna!) viveva ancora sotto una dittatura sanguinaria.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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3 commenti
  • Concordo con la recensione. Io il libro non l’ho nemmeno finito e trovo un solo aggettivo per definirlo: noioso.

    • Io sono riuscita ad arrivare alla fine, anche perché, tranne che in rarissimi casi, non abbandono mai la lettura di un libro. Però la delusione è stata grande.

  • A me il romanzo non è dispiaciuto, ma sicuramente non è stato all’altezza dell’idea di base su cui era costruito. Sarebbe dovuto essere molto più breve, fermarsi intorno alle 150 pagine, poi è diventato troppo prolisso.

Recensione di D. S.