Dalla libreria al cinema #21 – L’eleganza del riccio

Pubblicato nel 2006, L’eleganza del riccio (L’élégance du hérisson) di Muriel Barbery (Casablanca, 1969) è divenuto in breve un caso letterario, vincendo anche diversi premi. Nel 2009 la giovane regista Mona Achache ne ha ricavato anche il suo lungometraggio di esordio, Il riccio. Il libro ha riscosso il suo strepitoso successo grazie anzitutto al “passaparola” tra i lettori. Che però lo hanno decisamente sopravvalutato.

Al numero 7 di rue de Grenelle a Parigi lavora da 27 anni come portinaia Renée Michel. Viene dalla campagna e non gode della minima considerazione da parte degli abitanti ricchi e spocchiosi del palazzo; in realtà, però, la donna nasconde a tutti, dietro modi scontrosi e popolareschi, una vivace intelligenza e una ricca cultura letteraria, artistica e musicale. Tra le famiglie che abitano il lussuoso condominio c’è anche quella del ministro Josse, che ha due figlie: la minore, Paloma, ha 12 anni ed è una ragazzina superdotata e insofferente alle ipocrisie del mondo ovattato, ma vacuo e non di rado crudele, nel quale vive. Le due donne, in qualche modo anime gemelle, accomunate dall’intelligenza, dalla cultura, dalla coscienza critica, ma anche dal tè al gelsomino, dal mito del Giappone e dalla solitudine, avranno modo di uscire dal loro guscio e di riconoscersi l’una nell’altra grazie all’arrivo di un nuovo inquilino, monsieur Ozu.

La trama presenta certamente degli spunti originali e la vicenda, narrata alternatamente dalle voci delle due donne protagoniste, può conquistare facilmente il lettore medio ed anche emozionarlo, soprattutto dopo l’entrata in scena di monsieur Ozu e in particolare nelle ultime pagine. Non mancano inoltre intelligenti spunti di riflessione sul linguaggio, sulla cultura contemporanea , sulla vita. A proposito della sua formazione da autodidatta, ad esempio, Renée osserva il proprio oscillare tra talento e cecità: priva della guida sicura dell’educazione scolastica e perciò incerta, tuttavia si scopre capace delle intuizioni e delle sintesi più valide. Il carattere eterogeneo della sua formazione suggerisce a Renée anche delle riflessioni sulla cultura contemporanea, assai ibrida rispetto ai canoni classici ma non per questo da condannare. Anche la giovanissima Paloma annota nel suo diario alcune riflessioni interessanti, come quelle sui rituali della vita moderna, che vorrebbero esorcizzare le paure e le angosce (come l’ossessivo dedicarsi alle piante di sua madre, da dieci anni in cura da un sedicente psicanalista e schiava degli psicofarmaci) senza però riuscirvi. È bello anche il motto (un po’ ad effetto, ma in questo caso senza eccessi) che riassume il messaggio del libro: ricercare «il sempre nel mai», la bellezza nell’assurdo della vita.

Tuttavia qualcosa non funziona.

Disturba anzitutto l’atteggiamento di Renée e Paloma. In virtù della loro cultura, della loro intelligenza e della loro coscienza civile e sociale esse si ergono a giudici severissimi e implacabili del mondo in cui vivono, dall’alto di un ideale, solitario piedistallo, con un tono spesso non meno arrogante e sprezzante di quello dei condomini di rue de Grenelle. In questo modo rischiano di perdere valore le loro pur giuste e condivisibili critiche ai pregiudizi, all’ipocrisia, alla superficialità, all’arrivismo dei ricchi del mondo (che però – va detto anche questo – non andrebbero generalizzate, come troppo spesso si fa nel libro). Cultura e sensibilità, anche se ferite nel profondo come nel caso delle due donne, dovrebbero insegnare innanzitutto misura e umiltà, il senso di un percorso di ricerca che non si conclude mai. L’arroganza si può perdonare ad una ragazzina, magari, ma non ad una donna adulta. Stona anche che Renée si esprima (quando getta la maschera della portinaia ignorante e ottusa) con un linguaggio elaborato e difficile, agli antipodi rispetto alla sua stessa convinzione, manifestata più di una volta, che la cultura vera debba essere espressa in termini chiari, semplici e lineari. Nelle ultime pagine del romanzo sembra che Renée e Paloma acquistino consapevolezza dei propri errori, ma solo in parte. Il loro atteggiamento “di superiorità” non viene deposto. La storia personale di Renée, inoltre, che si viene a scoprire e a compiere nella parte finale del romanzo, si rivela piuttosto banale in un romanzo che invece avrebbe l’ambizione di abbattere i luoghi comuni; si rovina così l’idea di partenza, quella sì originale, della portinaia intelligente e colta che si finge ignorante e stupida. Gli ultimi capitoli dalla voce di Renée, infine, costituiscono semplicemente un assurdo dal punto di vista narratologico (anche se sono quelli che più possono commuovere un lettore ingenuo).

Il libro ha conquistato il pubblico, soprattutto tanto pubblico giovanile: proprio dai miei giovani studenti sono venuti infatti i commenti più entusiastici a questo romanzo. Inizialmente non riuscivo a capirne i motivi, anche perché il linguaggio dell’opera non è certo semplice e facilmente accessibile per i nostri ragazzi. Il fatto è che Muriel Barbery ha concepito una trama (apparentemente) originale e ha dato vita ad una giovanissima protagonista ribelle in cui identificarsi; ha saputo colpire e commuovere con qualche colpo di scena (da teleromanzo) e con quelle frasi ad effetto che ai ragazzi piace riportare sulle pagine dei loro diari o nei social networks: insomma, non manca nessuno degli ingredienti che possono conquistare lettori giovani, che cercano il loro «sempre nel mai» ma non sono ancora abbastanza smaliziati da cogliere l’inganno, forse inconsapevole, forse invece sapientemente commerciale, della scrittura di questo romanzo (il che peraltro ha il sapore di una beffa doppia, trattandosi di un romanzo che parla proprio di apparenze ingannevoli).

Il film di Mona Achache forzatamente semplifica la complessità della trama, riducendo anche il numero dei personaggi minori (che sono spesso invece tra i più riusciti del romanzo, come la domestica Manuela o gli altri inquilini di rue de Grenelle n. 7). Inoltre la primissima parte del film non presenta in maniera efficace la figura di Renée. La pellicola prende però quota nel prosieguo, risultando per certi versi perfino preferibile al libro: i personaggi di Paloma e Renée, grazie anche alla buona recitazione delle interpreti, guadagnano infatti in simpatia, umanità e credibilità, pur perdendo qualcosa (ma poco, in fondo) in complessità. Naturalmente la regista (che è anche sceneggiatrice della pellicola) ha anche reinterpretato in maniera originale qualche aspetto della vicenda: in particolare è molto valida l’idea di far registrare gli eventi a Paloma non su un diario, come invece è nel romanzo, bensì attraverso una telecamera. E si apprezza anche che la regista-sceneggiatrice abbia glissato sulla storia del passato di Renée, che è decisamente l’aspetto più debole del romanzo.

Il film si rivela dunque un prodotto commerciale ma di livello discreto, mentre del libro, certamente pretenzioso, non si può dire lo stesso.

*****

Un’altra recensione al romanzo si può leggere qui.

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Recensione di
D. S.

Sono una lettrice vorace, una cinefila entusiasta e un'insegnante appassionata del suo lavoro; e non so concepire le tre cose disgiunte l'una dall'altra.

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2 commenti
  • Carissima, iniziai a leggere il libro all’epoca in cui uscì (mi fu regalato), ma per impegni non l’ho finito e ne ho sempre rimandato la lettura. Dai primi capitoli letti però mi colpí molto l’abilitá nel tipo di narrazione e mi sembrava promettente. Tuttavia queste tue riflessioni mi sembrano molto interessanti, pur non potendo ancora dir la mia non avendo terminato la lettura del romanzo. Posso però confermare di aver avuto l’impressione di un violentissimo tono cinico sin dai primi capitoli (che a me comunque non piace, mi dá di qualcosa di “plastificato” e conformato alla moda)nella voce di entrambe le due protagoniste. Concordo molto con la tua lettura critica, soprattutto per il punto di vista educativo.

    • Grazie per il tuo commento, molto attento ed efficace. Hai usato la parola giusta: cinismo. Ma, appunto, come hai scritto benissimo, quello del libro è un cinismo di facciata, una moda più che un’opportunità critica ( e educativa: questo aspetto mi sta molto a cuore per deformazione professionale :) ). Se riprenderai la lettura, sarò molto interessata al tuo giudizio.

Recensione di D. S.