Rimasto tra gli scaffali della mia libreria per mesi e mesi, alla fine ho deciso di leggerlo. “Il treno dell’ultima notte”, ambientato negli anni della guerra fredda, è la storia di Amara, ormai ventottenne, che decide di andare alla ricerca di un suo amico di infanzia, Emanuele, deportato probabilmente durante la Seconda Guerra Mondiale, di cui è rimasto soltanto un pugno di lettere.
Devo subito dire che l’inizio mi aveva entusiasmata: Amara che viaggia in treno e incontra il suo futuro compagno di avventura, l’alternarsi della storia alle lettere innocenti di Emanuele. Il ricordo di un passato che ritorna senza pietà, di un Emanuele che si illudeva, nella sua ingenuità, di poter volare, di due bambini sempre insieme, avidi di ciliege, di progetti, di scampagnate in bicicletta. Mi aveva coinvolta anche la ricerca, che sicuramente si sarebbe rivelata piena di colpi di scena.
Ma a metà romanzo, a dirla tutta, mi sono trovata nel mezzo di un “romanzo storico” che narrava le vicende del comunismo di una Budapest invasa dai carri armati sovietici. Per la maggiorparte del libro la ricerca e il piccolo Emanuele vengono dimenticati, messi da parte, e solo alla fine precipitosamente portati a termine con una conclusione banale. Il libro quindi si snoda tra lettere, ricordi, presente, fucilazioni, domande che nell’insieme sembrano scollegati tra loro, indipendenti e formani un insieme disarmonico.
Non è quello che certamente mi sarei aspettata da una Dacia Maraini.